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Nullità del contratto di conto corrente bancario

Il contratto di conto corrente, come previsto dall'art. 117 del T.U.B. e dall'art. 23 del T.U.F., deve avere forma scritta.

Di conseguenza, in caso di mancata forma scritta del contratto, il cliente potrà agire per far dichiarare la nullità del contratto ed ottenere la restituzione in proprio favore di interessi ultralegali, spese e commissioni.

Dal canto suo, invece, l'investitore finanziario potrà far valere la nullità del contratto-quadro privo di forma scritta, facendo dichiarare la nullità degli ordini di investimento sfavorevoli.

 

La questione è stata oggetto di numerose pronunce sia di merito e sia di legittimità, e riguarda anche il caso del cosiddetto contratto “monofirma”, in merito al quale, la Corte di Cassazione ha ribadito che se la banca produce in giudizio un contratto che reca solo la firma del cliente, ciò non prova il perfezionamento del consenso delle parti in forma scritta.

La conseguenza, dirompente per il sistema,  consiste nel fatto che nei giudizi aventi ad oggetto rapporti di conto corrente, il correntista lamenta quasi sempre che il contratto e le relative condizioni economiche (tassi di interesse, commissioni, spese, valute, capitalizzazione periodica, etc.) non sono stati oggetto di pattuizione scritta così come previsto dall’art. 117 TUB. 

In passato, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4564 del 2012, aveva stabilito che, in presenza  di un contratto sottoscritto solo dal cliente, la forma scritta ad substantiam risultava soddisfatta solo nel caso in cui il contratto presentasse la dichiarazione confessoria del cliente attestante che “un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato”.

La Suprema Corte, con le pronunce più recenti, ha invece sottolineato che, da un lato, il requisito della forma scritta è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti siano contenute in documenti distinti (purché entrambe le scritture siano prodotte in giudizio), dall'altro, che i comportamenti concludenti non possono dar luogo alla stipulazione di un contratto formale, dal momento che manca l'estrinsecazione della volontà contrattuale.

Quindi, ribadisce che il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti (proposta e accettazione) purché risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo e, soprattutto, entrambe le scritture siano prodotte in giudizio e, ancora, chiarisce che l’allegazione in atti - da parte della banca - del contratto sottoscritto dal solo correntista vale a perfezionare il consenso con efficacia ex nunc e non ex tunc, sempre che il cliente non abbia medio tempore revocato la proposta e purché sia ancora in vita al momento dell’esibizione in giudizio del documento.

La nuova posizione assunta dalla Suprema Corte riguarda anche la possibilità di ritenere provata la volontà negoziale dell’Istituto di credito da comportamenti concludenti documentati da contabili, ordini di esecuzione, estratti conto ecc. prodotti in giudizio. Sul punto si afferma  che comportamenti concludenti non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale: l’eventuale documentazione depositata (contabili, attestati di eseguito, estratti conto) non possiede – afferma la Corte – i caratteri della “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale”.

In tal senso, particolare rilevanza assume l'ordinanza n. 10447 del 2017 della Corte di Cassazione. Nello specifico, essa riguardava alcuni investitori che richiedevano la nullità dei contratti conclusi con un Istituto di credito; la Corte di merito aveva respinto tale richiesta, ritenendo che i contratti fossero validi anche se sottoscritti solo dai clienti.

La Suprema Corte, rilevato che, a norma l’articolo 23 d.lgs. n. 58 del 1998, è previsto l’obbligo della forma scritta per i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento , ed in caso di inosservanza di tale prescrizione, il contratto è nullo, ha poi precisato che, anche le successive operazioni di investimento compiute dall’intermediario sono da considerarsi, altresì, nulle e non ratificabili tacitamente (Cass.7283/13, Cass. 28432/2011). Inoltre,  così come il contratto-quadro deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, anche  il contratto di gestione di investimento concluso con un intermediario finanziario, deve avere forma scritta a pena di nullità, previsione che non consente equipollenti o ratifiche (Cass. 3623/2016).

Per quanto riguarda la sottoscrizione da parte di un funzionario della banca, ha riportato i seguenti principi di diritto, già affermati dalla Corte di legittimità nelle più recenti sentenze (Cass. N. 5919/16, 7068/16, 8395/16,  8396/2016; 10331/2016; 36/2017): “a) l’articolo 23 impone una forma bilaterale ad substantiam; b) la produzione in giudizio da parte della banca del contratto-quadro da essa non sottoscritto non è idoneo equipollente della sua sottoscrizione”.

In relazione a detti principi, la Prima Sezione ha condiviso il secondo punto, mentre ha espresso qualche perplessità in relazione al primo aspetto, in relazione alla necessità della sottoscrizione dell’intermediario, ai fini della validità del contratto di investimento. In effetti, giurisprudenza e dottrina non hanno risolto concordemente tale questione, ovvero se, per la validità del contratto concluso con la banca occorra o meno obbligatoriamente anche la firma di un funzionario di quest’ultima, oltre quella del cliente. 

La Cassazione ha poi precisato che il legislatore ricorre sempre più di frequente al formalismo negoziale,  posto a tutela dell’investitore, ritenuto il contraente ritenuto più debole, nell’ambito di contratti asimmetrici.

La nullità che ne consegue, ha finalità di protezione del cliente.

Pertanto, la previsione formale dell’articolo 23 del d. lgs. n. 58/1998 è diretta esclusivamente a tutelare l’investitore; si tratta di una  “forma di protezione” diretta ad evidenziare, a favore  della parte debole del rapporto, l’importanza del contratto che sta per concludere e tutte le clausole ivi previste. La ratio di tale  prescrizione è quella di assicurare una  corretta informazione del cliente, affinchè questi sia informato e pienamente consapevole del contratto che si accinge a firmare; per tali motivi la  nullità può essere fatta valere solo da questi oltre che rilevata d’ufficio dal giudice.

In merito si registrano due diversi orientamenti successivi.

Secondo il primo, il requisito della forma scritta ex art. 23 sarebbe rispettato nel caso in cui il cliente sottoscrivesse il contratto-quadro: in tal caso sarebbe garantito l'interesse alla trasparenza e lo scopo informativo dell'investitore. In sostanza, mentre la volontà dell'investitore deve essere espressa per iscritto, quella dell'intermediario può essere manifestata in altre forme idonee a dimostrare la sussistenza del suo consenso.

Secondo la tesi opposta, la sottoscrizione dell'intermediario costituirebbe un requisito di forma ad substantiam: in tal caso la firma del funzionario della banca sarebbe obbligatoria per la validità del contratto, per cui bisognerebbe stabilire se l'investitore possa convalidare il contratto tramite comportamenti concludenti e se la banca sia legittimata o meno a ripetere quanto versato al cliente.

Per risolvere la controversa questione sopra esposta, la Corte ha rimesso la causa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

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