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Il controllo a distanza sui dipendenti: nuova sentenza della Cassazione

L’installazione di strumenti di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, anche in presenza di un accordo sottoscritto da tutti i dipendenti, configura ipotesi di reato.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22148/2017 ha ribadito che l'installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti per mezzo dei quali può compiersi il controllo a distanza sull’operato dei lavoratori, deve necessariamente essere preceduta da un accordo tra il datore e le rappresentanze sindacali.

 

In assenza di accordo, infatti, il datore di lavoro, prima di procedere all’installazione delle apparecchiature di sorveglianza, è tenuto a proporre istanza alla Direzione Territoriale del Lavoro per l’emissione di un provvedimento autorizzativo.

Laddove manchino sia l’accordo con le rappresentanze sindacali sia il provvedimento di autorizzazione, l’installazione è da considerarsi illegittima.

Rispetto ai precedenti orientamenti giurisprudenziali, siamo di fronte ad un cambiamento radicale. Basti pensare che nel 2012 la Cassazione nella sentenza n. 22611 aveva escluso la violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori pur mancando la consultazione delle rappresentanze sindacali e, anzi, aveva ritenuto valido il consenso espresso dalla totalità dei dipendenti al controllo sul luogo di lavoro da parte del datore.

Il connubio tra privacy e tutela del lavoratore appare chiaro in seguito all’introduzione nel Codice in materia di protezione dei dati personali della tutela penale per il trattamento illecito dei dati dei dipendenti, avvenuta con l’art. 23 del D.lgs. 14 settembre 2015 n. 151 (decreto attuativo del Jobs Act). 

In caso di violazione delle procedure espresse all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, il datore può, quindi, incorrere nel pagamento di un’ammenda e/o nell’arresto.
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha considerato irrilevante che l'installazione del sistema di sorveglianza sia stata precedentemente autorizzata da tutti i dipendenti mediante un consenso espresso; infatti, il mancato interpello delle rappresentanze sindacali ha comportato “l'oggettiva lesione degli interessi collettivi” di cui le stesse sono portatrici, poiché adibite a verificare l’idoneità degli impianti audiovisivi rispetto alla dignità dei lavoratori e l’effettiva necessità di ricorrere all’installazione di tali apparecchiature.

La Suprema Corte sostiene, quindi, che la consultazione del sindacato dei lavoratori rappresenti una garanzia necessaria per i lavoratori, finalizzata alla tutela degli “interessi di carattere collettivo e superindividuale” poiché, considerando la posizione di squilibrio economico – sociale intercorrente tra le parti, il datore di lavoro all'atto dell'assunzione potrebbe far firmare ai suoi dipendenti “una dichiarazione con cui accettano l'introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato dal timore della mancata assunzione”.

In conclusione, la Corte ritiene irrilevante il consenso espresso dei lavoratori circa l’implementazione degli strumenti di controllo a distanza e individua quali uniche vie percorribili per il rispetto dell’art. 4 dello Statuto l'accordo con le rappresentanze sindacali e l’autorizzazione amministrativa.

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